Come funzionano le sanzioni per le bestemmie nel calcio italiano
Cambia molto se c’è una registrazione audio che può provarle, com’è successo nel caso di Lautaro Martinez dell’Inter.
Venerdì il capitano dell’Inter Lautaro Martinez è stato multato per 5mila euro dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) per aver bestemmiato due volte dopo la sconfitta contro la Juventus dello scorso 16 febbraio. Il caso di Martinez ha suscitato un grande dibattito sul modo in cui vengono punite le bestemmie nel calcio italiano, che segue una prassi complicata, non del tutto scritta e con molte variabili. Per esempio, Martinez non era stato subito punito con una giornata di squalifica (come da regolamento) per via della mancanza iniziale di una prova audio, nonostante in un video il suo labiale fosse abbastanza chiaro.
In Italia inoltre la bestemmia (cioè un’ingiuria contro una divinità) è percepita da molte persone come un’offesa particolarmente grave, dato lo stretto legame tra la cultura italiana e il cattolicesimo; molte altre, credenti o meno, la considerano comunque un’espressione offensiva e diseducativa. Anche per questi motivi nell’ordinamento giuridico italiano la bestemmia in pubblico è stata un reato fino al 1999, quando è poi diventata un illecito amministrativo punito con una multa, che va da 51 a 309 euro. Negli anni però questa legge è diventata in buona parte simbolica, e raramente una persona che bestemmia in pubblico deve poi pagare una multa.
Anche nel calcio italiano ci sono sempre state regole che punivano le espressioni blasfeme pronunciate in campo, ma anche qui sono state applicate molto raramente. Solo dalla fine degli anni Novanta, quando videocamere e microfoni più sofisticati resero le bestemmie più visibili e udibili in televisione, la FIGC fu costretta a punirle più regolarmente, anche e soprattutto per una questione di immagine.
Da allora la FIGC ha alternato periodi in cui ha punito molto rigidamente la blasfemia ad altri in cui si è mostrata più tollerante, influenzata dalla visibilità che le bestemmie finivano per avere in televisione e dalle proteste delle società coinvolte. Eppure le punizioni più frequenti non sembrano aver avuto un effetto deterrente sulle bestemmie in campo: nel 2010 per esempio l’ex calciatore brasiliano Kakà, che aveva giocato per diversi anni in Italia nel Milan e notoriamente molto credente, si lamentò delle numerose bestemmie che venivano pronunciate dai suoi colleghi nel campionato italiano.
Dal 2019 la bestemmia in campo è regolata dall’articolo 37 del codice di giustizia sportiva della FIGC, che punisce con una giornata di squalifica i calciatori o allenatori che bestemmiano «in occasione o durante la gara». Ma il procedimento con cui viene decisa una squalifica per bestemmia cambia a seconda di come la bestemmia viene rilevata.
Se la bestemmia è segnalata dall’arbitro la giornata di squalifica è quasi assicurata, dato che per la FIGC il referto arbitrale è la prova più attendibile su quello che succede in campo ed è quindi difficilmente contestabile, a meno di evidenti errori. Se invece la bestemmia non è stata sentita dall’arbitro né dai suoi collaboratori in campo, ma c’è un filmato che la prova, la procura federale, che indaga sulle possibili infrazioni al Codice, deve segnalarlo al giudice sportivo entro del primo giorno feriale successivo alla partita. Oltre il tempo prestabilito, la segnalazione della procura è considerata inammissibile, a meno di “oggettiva impossibilità” della procura nell’individuare l’illecito sportivo in tempo. Se la procura acquisisce una prova della bestemmia oltre il termine prestabilito, il caso può essere comunque esaminato: non viene più giudicato però dal giudice sportivo ma dal Tribunale federale nazionale.
Quando invece tutto avviene secondo i tempi stabiliti, una volta ricevuta la segnalazione il giudice sportivo analizza le prove ed emette la sentenza, senza processo. Negli anni si è consolidata una prassi (non regolamentata per iscritto) per cui il giudice impone la squalifica per blasfemia solo quando, oltre al filmato, c’è anche un audio che attesti chiaramente che il giocatore ha bestemmiato oltre ogni ragionevole dubbio: in caso contrario infatti l’imputato potrebbe facilmente contestare la decisione del giudice sportivo sostenendo di aver usato un’espressione con un’assonanza rispetto a quella denunciata, o comunque un’altra con un labiale confondibile (potrebbe sostenere di aver detto “zio” al posto di “dio”, per esempio, che è anche un’espressione piuttosto diffusa in Italia per evitare di pronunciare direttamente un’ingiuria).
Lautaro Martinez non era stato inizialmente squalificato per blasfemia proprio perché mancava l’audio delle presunte bestemmie, e quindi la procura federale non aveva segnalato nulla al giudice sportivo. Successivamente, secondo le ricostruzioni di alcuni giornali, la procura ha acquisito l’audio delle bestemmie. Ha allora avviato un processo sportivo ordinario, dato che non aveva rispettato i tempi per inviare la segnalazione al giudice sportivo a causa di una «oggettiva impossibilità» (mancavano cioè le prove). Durante il processo, Lautaro ha potuto patteggiare con la procura, come previsto dall’articolo 126 del Codice di giustizia sportiva, ed è stato infine punito con una multa di 5mila euro.