L’intervento di una lettrice in merito all’inchiesta del Corriere Bergamo su giovani e alcol. «In compagnia shottini e cocktail. Io non li volevo, una mia amica mi suggerì di fingere di bere»

Gentile direttore,
seguendo la vostra inchiesta sull’alcol e i giovani, apprendo amaramente che le cose non sono per nulla cambiate rispetto ai tempi della mia adolescenza (una quindicina di anni fa), anzi, la situazione mi sembra persino peggiorata. A tal proposito vorrei raccontare la mia esperienza di ragazzina che si è sempre rifiutata di stordirsi con cocktail e shottini come molti miei coetanei. Allora mi sentivo una sfigata, oggi ci vedo qualcosa di eroico, perché scegliere di non bere ha significato uscire dalla compagnia, perdere la mia migliore amica e passare molti sabati sera chiusa in casa. È iniziato tutto nell’estate della terza media, il periodo delle prime volte: primo giro in scooter, primo assaggio di vodka, primo tiro di sigaretta. Si sperimenta, come penso sia giusto a quell’età, ma poi non si ha la possibilità di scegliere: se vuoi continuare a farlo sei nei gruppo, altrimenti fuori. «Fai finta di bere», mi ha suggerito un’amica a cui avevo confidato la mia contrarietà alle abitudini della compagnia. L’ho fatto una volta, due, ma il bicchiere non si svuotava da solo, mentre cresceva il malessere di sentirsi diversa, talvolta giudicata, sempre fuori posto. Avevo due strade: adattarmi o lasciare. Ho scelto di andarmene. Se uscivo, cercavo di non passare davanti al bar o al parco dove si ritrovava il gruppo perché temevo di essere presa in giro. Al liceo mi sono fatta nuovi amici: quasi tutti apprezzavano un drink in discoteca, nessuno però aveva l’abitudine di ubriacarsi, anche se per qualcuno, diventato maggiorenne, era normale accompagnare in discoteca il fratello quindicenne che nascondeva nel baule superalcolici da bere nel parcheggio del locale. «Ma tu non gli dici niente?», ho chiesto una volta a una mia amica. Ha fatto spallucce. Dopotutto, alcuni genitori portavano borse di alcolici alle feste di capodanno. Tutto normale. Io continuavo a non amare rum o vodka, ma l’equazione «alcol uguale figo» non mi abbandonava, era dentro di me: se ordinavo un tè freddo ero a disagio, se giravo per il locale sorseggiando qualcosa di alcolico mi sentivo più attraente. «Che assurdità», dico oggi che sono una donna con un’identità ben formata. «Ho corso un pericolo», rifletto pensando a quando ero adolescente e volevo l’approvazione del gruppo. Con un carattere più fragile e una famiglia diversa non so come sarebbe andata a finire.