Dopo le limitazioni legate alla pandemia che hanno impedito ai giovani di riunirsi tra loro e far baldoria, riemerge il fenomeno dell’abuso di alcol e droga tra i giovani, spesso, considerato e valutato come una semplice tendenza alla trasgressione.

Di fatto, i preoccupanti episodi di intossicazioni per consumo di alcolici dovrebbero far riflettere e registrare il fallimento o la scarsa influenza educativa della scuola, della famiglia e della società.

La difficoltà ad interiorizzare precisi stili di vita costituisce, sotto certi aspetti, una sorta di buco nero dove si annidano forze contrarie ad ogni qualsivoglia forma di rispetto di sé e degli altri.

A questo punto il “j’accuse”, è inevitabile. In pratica, non si può non riconoscere che l’abbandono di alcune buone pratiche educative, fatto in nome di una più agevole crescita nella libertà, possa aver favorito un orientamento trasgressivo, sconvolto la scala dei valori, annullato ogni regola e responsabilità morale.

Ma quali possono essere le effettive cause di queste complesse, inspiegabili e ingiustificabili tendenze? Sicuramente, il consolidato allentamento dei freni inibitori, l’ottundimento delle coscienze, l’antica tentazione dell’ uomo di rompere le regole, di respingere ogni tipo di responsabilità, la negazione di ogni norma morale, l’ ostacolo ai propri arbitrari desideri ecc.,
incidono notevolmente nella costruzione di una mentalità che induce a vedere le cose da un punto di vista prettamente egoistico, a volere ciò che si desidera, anche se ciò comporta danni e rischi.

Può capitare che, a volte, si trasgredisce senza avere la chiara consapevolezza di commettere una trasgressione: fumo, alcol e droghe non vengono più percepiti negativamente, perché manca l’interiorizzazione di uno stile di vita fondato sulle regole, su una chiara percezione e distinzione del bene e del male. Non solo. In alcuni casi viene addirittura negata la esistibilità di una regola oggettiva, di ciò che può far bene e ciò che può far male.

Si può dire che è in atto una vera e propria rivoluzione di genetica morale dove la forza del soggettivismo ha il potere di ridurre la coscienza al silenzio: faccio quello che mi piace fare, che mi è gradito fare, ma non farò nulla di ciò che mi viene richiesto. In questo modo, genitori, docenti e tutti coloro i quali sono chiamati a guidare, ad orientare, a consigliare, a far rispettare determinate regole, si trovano in serie difficoltà.

Errati condizionamenti sociali, ideologie, falsi miti ecc., spingono, dunque, i giovani a non ricercare più valori assoluti, bensì a raggiungere precari, falsi e ingannevoli equilibri interiori (trasgredisci, fai del male, fatti del male, se questo ti gratifica e ti fa star bene). Si può dire che il benessere diffuso non solo sta offuscando i sani principi morali, ma sta anche diffondendo la cultura del disvalore. Pertanto, è profondamente necessario un ritorno e un richiamo costate, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di comportamentale ad alcune fondamentali regole di vita: rispetto della persona, solidarietà, amore, impegno, assistenza, disponibilità, correttezza dei comportamenti sociali, riconoscimento dell’autorità, ecc.. In pratica, si tratta di far comprendere che ogni inosservanza di una regola comporta il male sul piano morale e la devianza sul piano del diritto.

In questa prospettiva, di fronte ad una trasgressione, all’infrazione di una regola, il giusto non sta nel mero richiamo, ma nell’ intrinseco valore della regola come norma di condotta, nella sua connotazione morale e giuridica insieme, nel suo essere caratteristica fondamentale della condizione umana. Il richiamo o la sanzione si pongono come conseguenza morale necessaria della trasgressione in sé.

In questa prospettiva, è opportuno ridefinire e riesplorare il significato dell’educazione e il valore della formazione e puntare al ristabilimento oggettivo di un ordinamento di regole che, facilmente, continua ad essere perturbato dalle continue trasgressioni giovanili.

Il vero grande problema, è quello della salvaguardia della cultura pedagogica, fiore all’occhiello della tradizione scolastica. Per fare ciò, è indispensabile la sinergia con i professionisti dell’educazione (pedagogisti), operatori veramente in grado di aiutare i ragazzi a gestire positivamente la propria esistenza, a vivere pienamente la propria identità, non in ordine ad un meccanicistico e formale rigore etico e normativo, ma per compiacersi del proprio vissuto gustando norme interiori così cariche di bellezza, di sapienza e di immediata concretezza.

In questo modo, la perversa logica del “a me piace”, si diffonde e si ramifica in maniera subdola e pericolosa. Un apparato educativo inadeguato e l’insegnamento di valori non condivisi accresce la voglia di trasgressione e allontana i ragazzi dall’amore per le cose buone. La nostra cultura è ormai pervasa da un pauroso permissivismo, da una fuga dalle responsabilità, dal rigetto di ogni regola che favoriscono e alimentano, non solo in ambito scolastico, la sub-cultura dell’irresponsabilità. Colpisce e impressiona il venir meno dei freni inibitori, la caduta progressiva “della cultura dell’osservanza delle regole”, il desiderio di agire in modo gratuito, distruttivo e destrutturante.