L’irlandese George Best è stato uno dei calciatori più talentuosi del XX secolo, Pallone d’Oro a soli 22 anni.
Best incarnò perfettamente il mito romantico: genio e sregolatezza. Fuoriclasse in campo, assolutamente disordinato nella vita, non riuscì mai a vincere la dipendenza dall’alcol.
Una vita di grandi successi e di grandi eccessi, che lo condussero ad un lento declino, fino al trapianto di fegato nel 2002.
Solo, depresso, povero e dimenticato, morì a Londra nel 2005: su sua esplicita, il tabloid inglese News of the world pubblicò una foto che lo ritraeva sul letto d’ospedale, ormai moribondo, accompagnata dalle sue ultime parole: “Don’t die like me” (“Non morite come me”).
Ancora oggi il mondo del calcio tira giù il cappello quando sente pronunciare il nome di George Best, ma nessuno sa spiegare come sia potuto morire senza niente un uomo che avrebbe potuto avere tutto. Lui la vita la trangugiò come un calice di champagne: scolato l’ultimo sorso d’ebbrezza non resta che il bicchiere vuoto.
L’alcol genera un vuoto incolmabile, un vuoto di disperazione, di solitudine, di dolore, di malattia. Ricordiamo le ultime parole di quel campione, che siano d’esempio per tutti i giovani: “Non morite come me”.