Continua a far discutere il cartellino azzurro, l’espulsione temporanea per i giocatori che bestemmiano in campo.

Per alcuni si tratta di un provvedimento troppo duro, per altri troppo blando. Il punto è che una delle prime società ad adottarlo è stata il Csi Torino, fondata nel 1944 dall’Azione cattolica (sic!). I più intransigenti fanno notare che se la blasfemia costituisce un reato nell’ordinamento dello Stato – che è laico -, non dovrebbe essere minimamente tollerata dagli enti e associazioni di ispirazione religiosa.

I dirigenti del Csi Torino e di altri club fanno però notare che l’imprecazione a sfondo religioso è così frequente nel calcio che, se durante le partite si espellessero tutti i giocatori che bestemmiano, nessuna partita arriverebbe alla fine. Consapevoli di ciò, sono gli stessi arbitri che chiudono a volte un occhio, per evitare di espellere troppi giocatori.

Il problema è grave, perché la volgarità del linguaggio, l’imprecazione, la violenza verbale non dovrebbe esistere nello sport, eppure c’è. Ferma restando l’espulsione per i casi più gravi di blasfemia, il cartellino azzurro può costituire un modo – ancora imperfetto – per punire tutti coloro che bestemmiano in campo.

Forse occorre spostare il focus della discussione: non partiamo dalla fine, dalla punizione, ma partiamo dalla fonte, cioè l’educazione.   

Pretendiamo un linguaggio corretto da parte dei giocatori in ogni situazione e facciamo in modo che i dirigenti comincino a dare tutti, ma proprio tutti, il buon esempio. S. B.