Giovani & alcool: campanelli d’allarme da non sottovalutare
Coma etilico. Il Ministero della Salute lo spiega così: si tratta di una “intossicazione acuta da alcol, si verifica quando si raggiungono livelli eccessivi di alcool etilico nel sangue. Questa condizione non deve mai essere sottovalutata, potendo il coma provocare danni irreversibili al sistema nervoso o la morte del soggetto”.
Questa è la condizione in cui si è trovata una ragazzina di 14 anni a scuola, il primo giorno dell’anno scolastico.
Ne hanno parlato i media, raccontando di come la vicenda sia accaduta in provincia di Lecce: la ragazzina si è sentita male nel bagno della scuola poco prima della fine delle lezioni, è stata soccorsa e ricoverata d’urgenza in ospedale. Ha rischiato la pelle.
Naturalmente sull’accaduto è scattata un’indagine per accertare le modalità ed eventuali responsabilità. Dai primi racconti pare che la quattordicenne abbia bevuto vodka, portata in classe in una borraccia. Non sarebbe stata sola, lo avrebbe fatto con alcune compagne, le stesse che hanno dato l’allarme nel momento in cui la studentessa ha cominciato a sentirsi male.
Perché parlarne? Anzitutto perché il consumo di alcol è un problema molto serio per gli adolescenti. Secondo i dati riferiti da fonti sanitarie in Europa si stima che l’80% degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni faccia un uso abituale di alcol; in Italia la percentuale è addirittura più alta, arrivando all’84% e risulta che spesso si comincia ad abusare dell’alcol già a partire dai 13 anni.
Siamo dunque di fronte a un fenomeno importante, di fronte al quale anche la scuola non può far finta di niente. Il tema di fondo è quello delle dipendenze e a questo proposito si ricorderà come da anni l’istituzione scolastica si sia interrogata su come intervenire, anche con percorsi specifici.
Il fatto del leccese, inoltre, colpisce perché avvenuto proprio tra le aule scolastiche e al primo giorno di lezione: come se il momento del ritrovarsi – a scuola in questo caso – sia stato un detonatore per un comportamento al limite e rischioso. Legato tra l’altro – subito è stato avanzato il sospetto – a una “sfida social”, cioè a uno di quei comportamenti amplificati dagli strumenti digitali e tesi a mettere alla prova se stessi spesso in situazioni difficili o pericolose. “Save the children”, ad esempio, mette in guardia da tempo su queste sfide che – spiega – “sono sempre più diffuse sul web e suscitano l’interesse di un gran numero di persone, coinvolgendo soprattutto le bambine, i bambini e gli adolescenti”. Alcune di queste sfide possono avere esiti anche drammatici, come talvolta le cronache hanno riferito.
Parliamo dei più giovani e in questo caso l’attività di prevenzione diventa fondamentale. L’attenzione degli adulti va moltiplicata, così come l’educazione all’uso responsabile degli strumenti digitali a disposizione, a cominciare dagli smartphone, vera porta spalancata verso il web e tutto quanto contiene.
Di nuovo torna il tema della scuola, che è un luogo importante nel quale si gioca la vita dei più giovani. Qui passano tanto tempo e qui possono avere a disposizione adulti attenti al loro sviluppo, accedere a conoscenze e abilità che ne fanno, piano piano, persone responsabili.
Ecco allora che il fatto di Lecce può suonare come un campanello di allarme e di richiamo all’attenzione educativa. Assume un significato simbolico che va ben oltre l’accaduto (su cui non tocca qui giudicare). Ricorda preoccupazioni e prospettive, compiti e responsabilità, costringe a ridire e rinnovare l’impegno di chi si occupa di educazione (anche ben oltre la scuola, naturalmente).